La Grande Dolcezza: storia della Sfincia di San Giuseppe

Il 19 marzo, si sa, non è un giorno qualunque: San Giuseppe, la festa del papà e tante belle cose. A Palermo, però ogni ricorrenza diventa inevitabilmente una festa di gusto: in questo caso, lo “sfincia-day“.
Proprio come a Santa Lucia tutti i bar e le rosticcerie si riempiono di arancine, a San Giuseppe la padrona assoluta di tutte le vetrine è la classica sfincia, tra le regine incontrastate della tradizione dolciaria siciliana. Un mito, una leggenda, il frutto di quella tendenza tutta siciliana a sublimare l’eccesso nell’apoteosi del gusto.

In particolare, la sfincia (il cui nome deriva dal latino “spongia”, cioè “spugna”) è una frittella morbida dalla forma irregolare ripiena di ricotta, gocce di cioccolato, granella di pistacchi e frutta candita. L’antica ricetta araba (di cui si possono ritrovare testimonianze in molte pagine della Bibbia e del Corano) era molto semplice e non prevedeva, fra le altre cose, l’utilizzo di ricotta.
Il legame con la figura di San Giuseppe si deve al “Monastero delle Stimmate di San Francesco” di Palermo, dove le suore clarisse dedicarono questo umile dolce a San Giuseppe (Santo degli Umili) e lo tramandarono ai pasticcieri palermitani. Furono questi ultimi poi ad arricchire la frittella con gli ingredienti accessori – in primis la ricotta – che oggi la consacrano ai vertici della nostra tradizione dolciaria.

Quel Monastero ormai non esiste più, essendo stato demolito nel 1875 per fare spazio al Teatro Massimo. Ma ancora oggi possiamo immaginare gli odori irresistibili che un tempo dovevano accompagnare la preparazione delle sfince. Un sapore da premio, un sapore da oscar. E per questo oggi noi, a proposito di oscar, la celebriamo così:

[SFINCIA] La Grande Dolcezza a


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